Risarcimento del danno da vacanza rovinata
Mare e spiaggia inquinati al posto di un litorale da sogno: si può chiedere il risarcimento del danno da vacanza rovinata? Vediamo un caso specifico.
Risarcimento del danno da vacanza rovinata: il caso
Con la sentenza n. 5189 del 4 Marzo 2010 i Giudici della Suprema Corte, ancora una volta, hanno riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni patiti da un turista durante l’esecuzione di un pacchetto turistico.
Nel caso di specie gli attori avevano convenuto in giudizio il T.O. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, quantificati in 10.000,00 £, in quanto “le fotografie del depliant riproducevano una bella spiaggia antistante l’albergo ed un bel mare ed invece, giunti sul posto, avevano constatato che la spiaggia era sporca ed il mare diffusamente inquinato da idrocarburi”.
Il T.O., ritualmente costituito, chiedeva il rigetto della domanda non essendo la spiaggia di proprietà dell’albergo e non dipendendo l’inquinamento del mare dall’organizzatore del viaggio.
A seguito dell’appello, i Giudici condannavano il T.O. a pagare la complessiva somma di Euro 1.163,45.
In particolare, i Giudici di secondo grado affermavano che “con l’’offerta del pacchetto turistico in esame, la società convenuta ha assunto l’obbligo di consentire agli acquirenti la fruizione di una spiaggia attrezzata e pulita e di un mare effettivamente balneabile, caratteristiche queste, diffusamente evidenziate nel depliant illustrativo, che costituisce parte integrante dell’offerta contrattuale per contro, quel mare e quella spiaggia si sono rilevati in condizioni di inaccettabile sporcizia e disordine né, del resto, il T.O. può invocare rispetto a tale situazione un esonero di responsabilità, non avendo essa provato che le scadenti condizioni dei luoghi rispetto a quanto pubblicizzato ed offerto derivassero da caso fortuito o forza maggiore e non piuttosto da incuria o insufficiente manutenzione degli stessi (fattori, questi, di cui il venditore del pacchetto turistico deve comunque rispondere nei confronti del cliente)”.
Chiamati a pronunciarsi sul ricorso promosso dal T.O. i Giudici della Suprema Corte hanno affermato che “con il contratto avente ad oggetto un pacchetto turistico tutto compreso, sottoscritto dall’utente sulla base di una articolata proposta contrattuale, spesso basata su un depliant illustrativo, l’organizzatore o il venditore assumono specifici obblighi, soprattutto di tipo qualitativo, riguardo a modalità di viaggio, sistemazione alberghiera, livello dei servizi etc, che vanno esattamente adempiuti; pertanto nel caso in cui la prestazione non sia esattamente realizzata, sulla base di un criterio medio di diligenza ex art. 1176 1° comma c.c. (da valutarsi in sede di fase di merito), si configura responsabilità contrattuale, tranne nel caso in cui organizzatore o venditore non forniscano adeguata prova di un inadempimento ad essi non imputabile”.
L’organizzatrice è, quindi, responsabile dell’inadempimento nei confronti degli attori sulla base della non corrispondenza tra quanto “promesso” (ossia, contrattualmente pattuito in relazione al livello qualitativo dell’originaria offerta di viaggio “tutto compreso”, come risultante da un depliant illustrativo da ritenersi parte integrante del contratto stesso) e quanto realmente “prestato” in sede di adempimento e là dove non adempia l’onere probatorio a suo carico di impossibilità della prestazione ad esso non addebitabile.
Ed infatti, per evitare il sorgere di responsabilità con conseguente obbligo risarcitorio, l’organizzatore o il venditore devono provare o il caso fortuito o la forza maggiore, oppure l’esclusiva responsabilità del consumatore o l’esclusiva responsabilità di un soggetto-terzo, quali eventi successivi alla stipula del pacchetto.
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